Perché in Italia solo il trash?!

26.02.2024

Dopo i successi di Barbie (2023) e di Poor Things (Povere Creature), sui piccoli(ssimi) schermi italiani esce un nuovo film marchiato Amazon Prime: "Pensati Sexy". Ho voluto collegare i tre prodotti cinematografici perché, di fatto, sembrano essere legati da un fil rouge tematico che ora, per fortuna e finalmente, inizia ad essere un tema portante della società italiana: la libertà femminile.

Inutile spendere altre parole sul primo prodotto, Barbie, che ha riscosso un clamore enorme che gli ha fatto guadagnare l'aggettivo di "colossal".

Povere Creature ha saputo far interrogare lo spettatore sulla centralità del sesso come attività di emancipazione umana, facendolo viaggiare all'interno di un corpo adulto con un cervello da infante. Ha saputo, inoltre, dimostrare la presenza di primitivissimi pregiudizi e convenzioni che esistono nella società borghese e patriarcale. Lo sguardo di una "bambina-adulta" scruta questi angoli così spigolosi senza fatalismo, che nella nostra società prende il nome di buonsenso, riesce a eluderli e, dunque, a crescere e vivere libera.

In questo filone, il film della regista Michela Andreozzi sembra ricordare il meme dei tre draghi. Sicuramente, questo è il più deludente. Ora, è chiaro ed evidente che i tre film non sono paragonabili da un punto di vista di produzione, visto le ingenti quantità di dollari dietro le prime due opere. Il terzo, se proprio non un low budget, non si avvicina minimamente alle produzioni americane. Eppure, la domanda che tutti gli spettatori dovrebbero porsi è: perché l'Italia è capace di tirar fuori prodotti così imbarazzanti su delle tematiche così importanti?

Andiamo con ordine. La sceneggiatura è alla stregua delle web series dello scorso decennio o, per essere ancora più cattivi, delle teen series su Disney Channel (per chi aveva la PPV).

Il soggetto, tutto sommato, presenta temi interessanti ma che vengono sviluppati in una sceneggiatura che sembra destinata a un pubblico di età prescolare, se non fosse per i continui rimandi alla sessualità. Le battute, i risvolti di trama e il susseguirsi delle scene non presentano (ovviamente) la benché minima profondità o imprevedibilità del percorso narrativo. Non c'è un briciolo di volontà di indurre lo spettatore a partecipare al film, non lo induce a pensare a niente di diverso rispetto a ciò che dicono i personaggi. A proposito di personaggi, la figura di Valentina Nappi, il grillo parlante sempre attento al suo Pinocchio, è un espediente già trito e ritrito nella storia del cinema mainstream. Il Pinocchio del caso, Maddalena Gentili interpretata da Diana del Bufalo risulta essere il classico personaggio impacciato che segue i consigli dell'esperto fino a che non sembra ribellarsi, per poi riappacificarsi con esso. Gli altri personaggi come Donato, Leonardo e i parenti di Maddalena sono invece di una piattezza assurda, tanto che seguono il loro percorso narrativo come burattini fino al finale "liberi tutti". Ma che idea geniale, eh!

Il montaggio è stato calibrato sul target di riferimento del film: adolescenti o semi-adulti. Ne sono la dimostrazione le continue panoramiche sulle città, le soggettive narrative, il montaggio formale e le elusioni. Continui gli split screen per mostrare messaggi o chat. Per chi non mastica di film tutto ciò vuol dire una sola cosa: ridurre a zero lo sforzo che deve fare lo spettatore per capire ciò che sta succedendo, ciò favorisce la narrazione e riduce il significato delle inquadrature e di conseguenza il lavoro registico. Di ciò non mi stupisco, la maggior parte dei film targati Amazon o Netflix rappresenta schemi prestabiliti, non solo di narrazione ma anche dal punto di vista della regia; dunque, gli autori o i registi stessi possono fare poco o niente. Forse meglio evitare di lavorare per loro.

Le performance attoriali si adeguano a quello che è uno stile cinematografico banale e senza profondità psicologica. Valentina Nappi ha avuto poche esperienze in quanto attrice e di fatti il suo artificio in questo film non è per nulla nascosto. Risulta completamente incapace di esprimere emozioni in camera o di entrare in contatto con lo stile attoriale del film. La sua performance rasenta il cringe più totale in molti punti, ma sarebbe ingiusto prendersela con lei visto che non ha l'esperienza adatta a quel ruolo così predominante.

Diana del Bufalo, dal canto suo, è invece un'attrice molto navigata nonostante la giovane età, eppure le sue performance ricordano sempre di più High School Musical. Emozioni espresse in una maniera esagerata e innaturale, una volontà comica che più che invogliare al riso invoglia solo all'imbarazzo. A dirla tutta, l'intero impianto comico è poco meglio, o poco peggio, di un cinepanettone, filone dal quale non sembra discostarsi più di tanto questa opera. Lo stesso Raul Bova viene portato dalla piattezza del suo personaggio ad avere le stesse tre espressioni sul viso per tutta la durata del film.

Altro punto degno di nota: data la fondamentale mancanza di trama, si è pensato di inserire un personaggio risolutore che appare dal nulla, che sa tutto e che risolve tutto, Malika. Un deus ex machina completamente arbitrario, un personaggio per niente costruito (che, fra l'altro, serve anche per fare una marchetta al libro ancora inedito della regista del film, tutto così squisitamente italiano).

Arriviamo al dunque: i temi. Nonostante il risultato, a mio parere, imbarazzante da un punto di vista cinematografico, nel film si può comunque trovare qualcosa di carino e positivo dal punto di vista tematico, ma sempre con la premessa della banalità. Non è l'uomo a rendere la donna bella: l'autostima è tutto, ti rende bella perché la bellezza in sé non esiste, ma attenzione che non diventi una gabbia. Davvero una dissertazione degna di una nuova corrente filosofica, wow.

Perché allora considero questo film un disastro? Perché sembra tutto quello che il cinema Italiano ha da dire sul tema: banalità, caciara, tarallucci e vino. Guardiamo il film, facciamo l'applauso e poi riparte la giostra del sessismo. Perché? Perché da questi film non si impara nulla, ci si intrattiene e basta. Non lascia in noi il trauma che invece le altre opere sul tema hanno lasciato. Spero che altri registi e altri autori si affaccino al tema con serietà, senso critico, autonomia di giudizio e, per Apollo, un po' di profondità. Questo film è solo l'ennesima goccia di acqua in un mare di film scadenti che hanno sempre più importanza nell'opinione pubblica. Questo film non è stato fatto per una necessità politica o ideologica ma meramente economica o di successo, altrimenti non avrebbe avuto un impianto così claudicante. Ma le classifiche cosa dicono? Primo in tendenza in un giorno, che novità! A furia di trattare temi fondamentali con questa banalità, finiremo per scambiare i sintomi con le cause e le vittime con i carnefici. Nonostante gli spettatori stiano diventando consumatori (questo, di fatto, con la sua ora e mezza precisissima è un prodotto da consumo) possiamo ancora pretendere e criticare!

Vi invitiamo a scriverci all'indirizzo e-mail circoloairesis1@gmail.com nel caso aveste delle critiche, delle aggiunte o opinioni in generale sul film o sul contenuto dell'articolo.

Ricordiamo, in ultima battuta, che questo articolo e dunque la recensione è frutto del pensiero di un'unica persona.

Di Giuseppe Marco Onofrio.

Revisione di Francesco De Nigris.

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